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Neuromarketing: manipolazione o cosa? Cosa!

Aggiornamento: 16 set 2021



Eh già, perché il neuromarketing è molte cose fuorché una tecnica di manipolazione!

E siccome in comunicazione in silenzio è considerato una delle più subdole tecniche di manipolazione, gli esperti del settore sono tenuti a gridarlo a voce alta!


Sentiamo spesso criticare queste strategie in quanto presuppongono una eccessiva intrusione in quella che nel gergo comune è chiamata “la mente del consumatore”.


Iniziamo subito a dare una definizione di neuromarketing: si può definire come l’unione fra il marketing e le neuroscienze. Le neuroscienze quindi si applicano alle strategie di marketing per migliorarle e ciò si rende necessario proprio in funzione di un mondo che cambia molto rapidamente.



I clienti oggi sono oberati di stimoli ed informazioni quindi fanno fatica ad identificarsi con i valori di un brand.


Il neuromarketing contribuisce a creare un ponte fra il brand ed i suoi clienti, studiando le dinamiche inconsce sottostanti a questa relazione.


Ma attenzione!


Nessuno può modificare le reazioni cerebrali di un soggetto: il neuromarketing si prefigge l’obiettivo di comprendere questi processi.

La vera anima del neuromarketing risiede quindi nella ricerca: è da qui che trae origine ed è così che si scrolla da dosso l'etichetta negativa che alcuni gli attribuiscono associandolo alla manipolazione.


Il neuromarketing infatti unisce varie discipline, dalla psicologia alla sociologia all'economia, integrando diversi ambiti di sapere attraverso un approccio trasversale.


Approccio che richiede uno studio approfondito nonché un metodo meticoloso attraverso strumenti neuroscientifici. Metodo che completa la consulenza di marketing arricchendo gli approcci tradizionali elencati nei manuali

di Economia.


Le classiche ricerche di mercato, infatti, non sono in grado di fornire informazioni in merito al processo decisionale di acquisto, poiché questo deriva anche da variabili emozionali nonché dal nostro inconscio.


Anche le classiche metodologie di pricing possono fallire ossia le aziende, adottando solo metodi analitici, rischiano di scegliere un prezzo che non in linea con la reale disponibilità a pagare del consumatore.


Come è successo a Starbucks, dimostrato da una ricerca del neurobiologo, Markus Müller che, attraverso strumenti di neuromarketing ha analizzato le reazioni cerebrali dei clienti rispetto a diverse fasce di prezzo.


In particolare ha dimostrato che prezzi inaspettati (troppo alti o troppo bassi) sottopongono il cervello ad uno stato di shock derivante da una necessaria ma eccessiva elaborazione.


Molto verosimilmente, in queste condizioni, l'acquisto ha basse probabilità di avvenire.


Oppure, molto interessante è il caso di UNHCR Italia che grazie ad una nota agenzia di neuromarketing italiana, Ottosunove, ha proposto alcune modifiche ad uno spot (fino a quel momento risultato poco efficace) stravolgendo i risultati di una importante campagna benefica favore dei rifugiati.


O ancora, pensiamo alle ricerche i cui risultati incentivano l'utilizzo di packaging ecosostenibili.


Le applicazioni delle neuroscienze al marketing sono quindi innumerevoli e tutte interessantissime, spaziando dall’ambito sociale fino ai vari settori merceologici.

Infine, si può asserire che esiste manipolazione se c'è influenza delle coscienze, ma le strategie di neuromarketing riguardano sofisticate ricerche di mercato che possono invece favorire il benessere collettivo.

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